Il ritorno.

6 01 2009

Il ritorno.

 

 

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Dopo anni di pubblica assenza mi accingo, su sollecitazione di molti amici, a riprendere la penna per comunicare con voi tutti.

Ovviamente, essendo cambiati i tempi, non più sulla stampa tradizionale (libri, quotidiani e periodici) ma in rete.

Questa volta lo farò brevemente con un conciso pensiero.

 

In questi due decenni non sono stato in ozio ed ero già presente da molto in più parti della rete, anche se il raggiungermi era solo concesso a pochi esperti.

Questo, invece, è aperto a tutti.

Come abitudine cercherò di limitare i miei interventi per carenza di tempo materiale; ma ciò non mi precluderà la possibilità di essere esaustivo nella trattazione e di sviluppare tematiche impegnative.

 

La recessione in atto e le grandi turbolenze finanziarie della globalizzazione hanno appesantito non solo la nostra prosperità economica, ma pure il nostro presente e futuro: i tempi di benessere sono ormai … lontani.

Lontani anni luce non solo nella praticità temporale, ma anche nella realtà operativa di tutti i giorni. Dobbiamo operare per costruire una nuova società e non sulle regole, ma sulla comprensione etica che il rispetto delle stesse è fondamentale per procedere.

Per fare ciò abbisogna non tanto cambiare i principi e i valori che i nostri avi ci hanno tramandato, bensì il recuperare la loro essenza in consonanza agli impegni che stiamo vivendo.

I valori e i principi sono, infatti, universali, pur dovendo essere adattati ai tempi.

Dobbiamo impedire che l’ingordigia di molti anteponga l’interesse individuale di pochi al concetto di Persona, in un superamento ambiguo del diritto operativo e sociale dell’Uomo.

 

Il diritto non è un bene inalienabile, bensì la conseguenza del dovere: il diritto nasce dal dovere del rispetto reciproco.

Oggi assistiamo al contrario.

Infatti abbiamo imprenditori non radicalizzati nella comunità e nel territorio, finanzieri che pensano al loro tornaconto egoistico (o di gruppo) passando la patata bollente ad altri dopo averla arroventata tra le loro mani, corporazioni e lobby che prevaricano caparbiamente l’interesse generale, politici che sono dediti per lo più allo sport del grimpeur civile, sindacati che hanno abiurato al loro dovere sociale, partiti che sono semplici agglomerati di potere e, infine, cittadini che spesso pretendono di avere e mai di dare.

Cos’è avvenuto? Un grave decadimento generale della cultura, perciò pure del saper interpretare perfettamente la nostra realtà esistenziale.

Vi ricordate la Chiesa di alcuni decenni fa? La sua decadenza è strettamente correlata alla realtà nazionale di ogni singolo stato: pare sia diventata un contenitore per anziani ed illusi, quando non un insieme di amministratori di un consistente patrimonio artistico e finanziario.

 

Le nostre università si sono riempite di studenti e le superiori hanno numeri significativi rispetto ai decenni scorsi. Ma perché la cultura porti con sé il sapere abbisogna che questa sia percepita non come semplice registrazione mnemonica di dati, bensì come strumento formativo del futuro cittadino.

Ed oggi, forse, si è optato sulla tecnica operativa più che su quella formativa. Tant’è che oggi abbiamo molti laureati che non valgono umanamente e culturalmente i diplomati dei tempi passati.

Abbiamo tanti esperti in singole materie spesso divise in contenitori stagni, ma non professionisti in grado di padroneggiarle perfettamente nel loro insieme di scienze e di porle al servizio della comunità.

È scomparsa la “vocazione” dell’uomo cittadino.

Spesso ho a che fare con tanti piccoli geni che annegano fuori del loro campo in un bicchiere d’acqua.

Le famiglie vanno a catafascio, il rapporto di coppia viene inteso come puro giocattolo di diletto esistenziale e le esperienze surrogate si fanno largo tra l’inesistente cultura dei più.

A chi ci si affida nella difficoltà: a reclamare il diritto! Ma il diritto bisogna conquistarselo.

E quando ciò avviene si cerca il taumaturgo risolutore, che può essere diverso secondo le situazioni contingenti: il capo (leader) assoluto in politica, il ricercare la fortuna (lotterie e giochi) nell’individuale e l’addossare ad altri (la società) la risoluzione delle problematiche individuali.

In pratica siamo un popolo di rinunciatari, d’incapaci e di falliti entrato in un pericoloso circolo vizioso.

 

Vi è la necessità impellente di rimboccarsi le maniche e di mettersi al lavoro per risolvere ognuno, responsabilmente, le proprie incombenze.

Vi sono dei problemi individuali e sociali; ma non li risolveremo se non sapremo affrontarli tutti di petto, senza demandare al altri il compito (dovere) che appartiene ad ognuno di noi.

 

Kärl Fϋnfte

 


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Una risposta

6 01 2009
Sam Cardell

Ciao, carissimo Kärl; sono felicissimo di rivederti in azione … pubblica.
Ho ricevuto il tuo invito ad affiancarti in questa tua nuova avventura culturale.
Ne sono onorato e nello stesso tempo preoccupato per più motivi: il tempo, la mia pochezza e la percezione del compito che mi attenderebbe.
Ci penserò nei prossimi giorni e poi vedrò di darti una risposta.

L’impostazione del tuo breve articolo di presentazione è chiara e perfetta; oserei dire: lungimirante.
Il mio ottimismo sul futuro è comunque tenue, tenue come l’ampiezza della vita che ancora dobbiamo percorrere, a Dio piacendo.
Siamo, comunque, sulla stessa identica frequenza d’onda.
Ho già notato che hai predisposto il sito a biposto onde prepararmi il terreno. Il tuo input subliminale, comunque, non sarà in grado di influenzare la mia scelta.

Per ora, oltre al mio impegno a seguirti come lettore (avendo sempre da te molto da imparare) un caro e affettuoso saluto ed augurio.
Mi studierò la parte e poi ti … dirò.

Sam Cardell

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